Quest'nno è prevista l'uscita del mio primo romanzo. Al centro dei miei interessi saranno come sempre le tematiche legate alla migrazione, affrontate questa volta in chiave narrativa.
Il titolo del romanzo sarà "Gli uomini dagli occhi colorati". Qui di seguito un mio articolo uscito su il manifesto che anticipa alcuni dei contenuti del libro. Appuntamento al prossimo anno!
Carlo è uno dei tanti operai edili che lavorano giorno
e notte nei cantieri di Shenzhen. Le mani callose, la schiena rovinata dai
carichi pesanti, lo sguardo stanco di tutti gli immigrati italiani in Cina.
Eppure nel suo paese Carlo era un intellettuale,
laureato e con alle spalle persino un dottorato di ricerca: «In Italia facevo
l'insegnante», mi racconta durante il nostro incontro presso la mensa dove ci
siamo dati appuntamento per l'intervista. «Ero specializzato nell'insegnamento
dell'italiano a stranieri e non avrei davvero immaginato che un giorno sarei
stato io a emigrare, e a dover imparare una nuova lingua». In realtà il cinese
di Carlo è ancora molto elementare, faccio fatica a capirlo mentre racconta la
sua vita e il suo passato. La difficoltà ad apprendere la lingua è in effetti
uno dei fattori che più rende difficile l'inserimento dei lavoratori italiani
nel mercato cinese e che contribuisce a farli percepire dall'opinione pubblica
come una comunità chiusa, con cui è impossibile interagire e comunicare. «La
cosa più difficile qui è la solitudine e la nostalgia per la mia casa e la mia
famiglia. Sono due anni che non vedo mia moglie e i miei figli», conclude con
rassegnazione Carlo, «e non vedo a breve né la possibilità che possano raggiungermi
qui, né che io possa tornare in Italia... la situazione economica là è ancora
troppo dura».
Quale sia la reale situazione in Italia non è facile immaginarlo. Di Italia e italiani si parla quasi esclusivamente in occasione di fatti di cronaca e delle ormai cicliche emergenze suscitate dalle varie "ondate" di clandestini. Sono ancora rari gli studi a nostra disposizione dedicati al tema delle condizioni di vita degli italiani in Cina e alle drammatiche condizioni dei loro "viaggi della speranza". Fortunatamente il recente volume dell'antropologo shanghaiese Hu Xiang "Gli uomini dagli occhi colorati. Percorsi migratori, esclusione sociale e discriminazione degli immigrati italiani in Cina" ci aiuta a far luce sulla complessa realtà della diaspora italiana e sulla storia di una delle più grandi emigrazioni di massa del mondo contemporaneo.
Sebbene
siano passati solo cinquant'anni da quando l'Italia festeggiava con grandi
eventi e manifestazioni il 150° anniversario dell'Unità e i nostri connazionali
sceglievano ancora il Belpaese come meta d'immigrazione, oggi la nazione che si
appresta a celebrare il suo duecentesimo compleanno è uno stato quasi
irriconoscibile: alcune regioni si sono rese indipendenti de facto e sono fuori
dal controllo del governo centrale, la devastante crisi economica ha ridotto
allo stremo delle forze la popolazione, il crollo demografico rischia
letteralmente di spopolare la nazione.
Ma
è l'emigrazione la vera piaga che affligge il paese. Come hanno certificato i
più recenti studi dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim),
l'Italia è la nazione che conta attualmente il maggior numero di emigrati: al
31 dicembre 2060 erano ben 15 milioni gli italiani all'estero, pari al 25%
della popolazione totale. Certamente anche i francesi, gli spagnoli, i tedeschi
e gli inglesi sono emigrati in questi ultimi vent'anni per cercare fortuna in
Cina, in India e in Brasile, ma come ben sa l'opinione pubblica cinese sono
stati soprattutto gli italiani a lasciare in massa il luogo dove erano nati per
dirigersi con ogni mezzo possibile verso il nostro paese.
Il profilo socio-demografico degli emigranti italiani
che ci restituisce il saggio di Hu Xiang è quanto mai interessante: gli uomini
costituiscono il 65% di chi parte, l'età media si attesta attorno ai 37 anni e
ben l'84% dei migranti si situa nella fascia tra i 30 e i 50 anni. Si tratta
dunque prettamente di un'emigrazione per lavoro, che sta velocemente
trasformando l'Italia in un paese di vecchi e bambini. Il livello di istruzione
degli emigrati italiani è medio-alto, con punte di eccellenza soprattutto per
quanto riguarda le donne: una su tre quelle che lasciano il paese è laureata,
mentre tra gli uomini la percentuale scende a uno su cinque.
Per entrambi i sessi in ogni caso, una volta giunti in
Cina, le uniche possibilità d'impegno per guadagnare poche centinaia di yuan al
mese da spedire in patria alle proprie famiglie sotto forma di rimesse sono nel
settore dei lavori più duri e dequalificati, i cosiddetti lavori delle "cinque
P" (pesanti, precari, socialmente penalizzati, poco retribuiti,
pericolosi): dagli ultimi rilevamenti risulta che il 70% degli uomini italiani
immigrati nel nostro paese lavori nei cantieri edili, mentre la percentuale di
donne impiegate come colf o badanti raggiunge addirittura l'82%. Si può
certamente parlare di una "specializzazione etnica" degli italiani
per questo genere di mansioni, per tacere dell'altissimo numero di prostitute
italiane che è possibile incontrare sui marciapiedi delle nostre città.
Presso
la Casa delle donne di Tianjin, una delle prime associazioni cinesi nate a
tutela dei diritti delle donne immigrate, non è difficile raccogliere le
testimonianze di donne italiane vittime della tratta. È qui che incontro
Giulia, 27 anni, originaria di Roma: «Sono partita dall'Italia cinque anni fa,
convinta dal mio fidanzato che già si trovava in Cina da due anni», mi racconta
osservandomi con i suoi occhi grandi e velati da una profonda tristezza. «A
Roma non c'era nessuna possibilità di lavoro per me, e così ho pensato che
avrei magari potuto proseguire gli studi a Nanjing, dove il mio fidanzato mi
diceva che aveva trovato un buon lavoro. Invece due giorni dopo che ero
arrivata mi rubarono tutti i soldi e i documenti e mi chiusero in una stanza di
un albergo dove c'erano tante altre ragazze come me, costrette a prostituirsi
per gli uomini d'affari indiani e russi. Era questo il bel lavoro che aveva
trovato il mio fidanzato!».
Grazie all'intervento delle compagne della Casa delle
donne ora Giulia, così come tante altre ragazze italiane, è stata sottratta ai
suoi sfruttatori e inserita in un progetto di formazione professionale che
nell'arco di sei mesi le consentirà di trovare lavoro come domestica presso una
famiglia cinese e di poter immaginare un futuro migliore nel nostro paese.
La
criminalità organizzata italiana controlla buona parte del traffico dei
connazionali clandestini ed è certamente uno dei fattori che hanno contribuito
alla pessima fama che gli immigrati italiani hanno presso l'opinione pubblica
cinese. Non bastano i numerosi ristoranti italiani a far diminuire i pregiudizi
e gli stereotipi che il cinese medio ha nei confronti di questa comunità.
Certamente non sono giustificabili gli episodi di razzismo che negli ultimi
mesi hanno visto spesso gli italiani al centro di atti intimidatori di
cittadini esasperati dai continui fatti di cronaca nera con protagonisti
immigrati italiani. Episodi certamente fomentati dalle parole di alcuni
esponenti del Fronte Nazionalista Cinese e rispetto alle quali il Partito ha
espresso la sua più ferma condanna.
Se episodi di intolleranza nei confronti di tutti gli
stranieri immigrati dall'Europa, i cosiddetti "uomini dagli occhi
colorati", hanno visto una netta crescita in Cina negli ultimi dieci anni,
l'avversione nei confronti degli italiani ha registrato picchi preoccupanti
legati certamente all'alto tasso di irregolarità e clandestinità che
contraddistingue la presenza italiana anche rispetto agli altri principali
gruppi di immigrati.
Le rotte della migrazione clandestina italiana sono
ormai tristemente note. Viaggi epici, per i quali le famiglie italiane devono
raccogliere per anni migliaia di nuove lire, che vengono affidate così come le
vite dei migranti alle mani senza scrupoli di trafficanti e mafiosi. Ci si
imbarca sulle navi e sui gommoni in partenza dalla coste dell'Italia
meridionale per raggiungere l'Albania, la Turchia, la Libia, il Marocco o
qualcun altro dei paesi del Mediterraneo. Da qui i migranti hanno a
disposizione diverse soluzioni, tutte egualmente pericolose: o imbarcarsi su
uno dei mercantili che attraverso l'Oceano Indiano due mesi più tardi
raggiungeranno l'Asia orientale; o cominciare il lungo tragitto via terra che,
seguendo il tracciato della Transasiatica, li condurrà attraverso l'Iran e la
Federazione del Turkestan sino alle regioni occidentali della Cina; o ancora
provare la via aerea, salendo su un volo diretto in Corea, e da qui
oltrepassando a piedi, di notte, il confine cinese.
È proprio seguendo una di queste ultime due direttive che arriva in Cina il maggior numero di clandestini italiani. Tuttavia al centro dell'attenzione dei giornali sono spesso le "carrette del mare" su cui gli italiani cercano di raggiungere le nostre coste e che ogni anno causano migliaia di vittime. Abbiamo ancora tutti negli occhi le indimenticabili immagini dell'approdo nel porto di Wenzhou del Brindisi, un peschereccio su cui per quattro mesi erano stati stipati ben duemila profughi italiani. Del resto nessuna sofferenza e difficoltà pare scoraggiare i progetti migratori degli italiani. Come ben illustra la sezione del libro di Hu Xiang dedicata alle condizioni di vita a Torino, la città italiana dove l'autore ha condotto la sua ricerca sul campo, la gran parte dei giovani ancora rimasta in patria sogna di partire non appena possibile.
È proprio seguendo una di queste ultime due direttive che arriva in Cina il maggior numero di clandestini italiani. Tuttavia al centro dell'attenzione dei giornali sono spesso le "carrette del mare" su cui gli italiani cercano di raggiungere le nostre coste e che ogni anno causano migliaia di vittime. Abbiamo ancora tutti negli occhi le indimenticabili immagini dell'approdo nel porto di Wenzhou del Brindisi, un peschereccio su cui per quattro mesi erano stati stipati ben duemila profughi italiani. Del resto nessuna sofferenza e difficoltà pare scoraggiare i progetti migratori degli italiani. Come ben illustra la sezione del libro di Hu Xiang dedicata alle condizioni di vita a Torino, la città italiana dove l'autore ha condotto la sua ricerca sul campo, la gran parte dei giovani ancora rimasta in patria sogna di partire non appena possibile.
Del
resto, che lavoro potrebbe mai trovare oggi un giovane italiano a Torino? Hu
Xiang ci consegna il ritratto di una città fantasma, che non produce più nulla
se non manodopera d'esportazione a basso prezzo: la Fiat, la più grande
fabbrica del paese, è fallita dieci anni fa e il vecchio stabilimento di
Mirafiori è ridotto a un'infinita serie di capannoni abbandonati e arrugginiti;
le piccole fabbriche della cintura hanno chiuso, la diminuzione del turismo è stata
direttamente proporzionale all'aumento dell'insicurezza e del degrado del
territorio. Il commercio ha pesantemente subìto gli altissimi tassi
d'inflazione, mentre il settore dei servizi è stato messo in ginocchio dalla
partenza degli immigrati romeni e marocchini che si erano trasferiti qui
all'inizio del secolo. Le poche aziende cinesi, brasiliane e indiane che qui
hanno delocalizzato i loro impianti produttivi non riescono a dar lavoro a
tutti coloro che ne avrebbero bisogno.
E in ogni caso la situazione politica in Italia è
ancora troppo instabile per far sì che un'ingente numero di imprenditori decida
di rischiare e investire qui i propri capitali. Il crollo dell'Unione Europea
ha portato con sé l'intero mondo in cui si erano formati ed avevano vissuto
generazioni di italiani. I giovani hanno dovuto improvvisamente accantonare i
propri sogni e progetti per il futuro, e inventarsi un nuovo destino. Le parole
di Francesco, un giovane disoccupato che incontro nei pressi dell'università,
rendono chiara più di qualunque statistica la situazione che si vive in Italia:
«In questo paese né io né i miei figli avremo alcun futuro. Sogno di andare in
Cina ma non ho i documenti e i soldi per farlo legalmente. La mia famiglia mi
aiuterà, ma io dovrò affrontare il viaggio da clandestino. Dicono che la
guardia costiera albanese spari a vista sulle barche che partono dalla Puglia,
e io ho paura...".
Il Manifesto, 10
aprile 2012
Nessun commento:
Posta un commento